Torre del Saracino di Gennaro Esposito a Vico Equense

«Io e la mia compagna Vittoria abbiamo aperto il ristorante nel dicembre del 1991. Possiamo dire che l’abbiamo aperto solo per far prendere un po’ d’aria al locale, visto che il primo mese non abbiamo avuto neanche un coperto. Solo a Capodanno ci sono stati dei clienti, forse perché eravamo gli unici aperti in zona…»

La simpatia dello chef inizia a manifestarsi fin da subito, è forse il suo pregio più manifesto: “Torre del Saracino” è una creatura che ha bisogno di attenzioni continue, e il lavoro comincia daccapo ogni giorno; viaggio solo per lavoro e le ferie le “devo” fare, altrimenti Vittoria mi ammazza!

Se fosse per me però starei sempre in cucina: stare in mezzo ai miei ingredienti è puro e semplice divertimento». Gennaro Esposito se la ride di gusto, poi continua:

«I primi critici che vennero a trovarmi furono Toni Cuman e Davide Paolini. La mia cucina piacque loro molto e da lì è cominciato un po’ tutto quanto: riconoscimenti sull’Espresso, sulla guida Michelin, le tre forchette del Gambero Rosso e l’ingresso nei giovani chef del JRE. Queste onorificenze non facevano che confermare il mio buon proposito, quello di vivere la vita che volevo, tra pentole sorrisi e tanta verdura».

L’ispirazione delle ricette gli viene vivendo realmente la cucina, attraverso i profumi, i sapori, le varie suggestioni. «I gusti sono impressi nella mente e si possono coniugare in base allo stato d’animo e alle singole impressioni; poi c’è il lavoro pratico e scientifico che mette ordine alle idee, quello che avviene all’interno della cucina» racconta Gennaro Esposito.

In buona sostanza lo chef parte dai vegetali dell’orto di casa, dal pesce degli amici pescatori e dalle mozzarelle dei paesi vicini, per poi elaborare una storia personale, da raccontare e con cui riempire il piatto.

«Come ho descritto nel primo numero di ItaliaSquisita, il mio rapporto con i fornitori è eccezionale: io parto dai loro prodotti e quindi elaboro le ricette». Un po’ forse come il poeta napoletano Pietro Antonio Caracciolo, che a fine ‘400 era solito inventare e narrare storie di teatro: lui, come d’altronde sembra pensare Gennaro Esposito, ripudiava il linguaggio merlettato e fiorito dei sovrani d’Aragona e attingeva dal popolo sia la trama che la dialettica.

«La mia parmigiana di pesce bandiera ha origine da un aneddoto molto singolare nel mondo della cucina gourmet: io ero abituato a chiedere ai miei pescatori solo alcuni pesci, quasi sempre i soliti, pregiati e che sapevo sarebbero piaciuti ai clienti; poi un giorno vidi ributtare in mare questi pesci bandiera, perché nessuno li voleva.

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